I Racconti del Fauno - “Riciè Tatta Granne”.

Racconti del faunoVi presento la categoria del sito che ho voluto chiamare “I Racconti del Fauno”, con un sottotitolo molto simpatico: “Riciè Tatta Granne”. Qui potrete trovare, per i vostri momenti di relax, dei racconti illustrati, detti locali, filastrocche e scioglilingua in dialetto sanchirichese e di sicuro anche qualche pezzo di storia locale o lucana che vi è estraneo o poco noto.
L’idea della denominazione “I Racconti del Fauno” nasce dalla scoperta e dall’adozione del mito pontaniano di “Capripede e Ripenia”, legato alla Fonte Trigella, di cui negli ultimi anni si è molto discusso e intorno al quale è nato un vero e proprio spettacolo. Pertanto ho voluto dare una voce a questo antico fauno che ha assistito ai mutamenti della nostra terra e che in silenzio si è fatto scoprire oggi nella sua qualità di custode della fantasia e della magia della natura.

Buona lettura… Pro loco sanchirichese.

LA GALLINA FA ...

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gallina

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 A  (G)ALLINA FA LL'UOVO E U (G)ALL VRUSCATE U CULE

LA GALLINA FA L'UOVO E AL GALLO BRUCIA IL SEDERE

CORPO ARMATO DEI TROLLS

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Trolls

Nel regno de" I Racconti del Fauno" si festeggia la propria forza armata.

 

 

 

 

 

 

 

 

“Cavurare ccu cavurare nun si tingeno”

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caurara“Cavurare ccu cavurare nun si tingeno” letteralmente viene reso con “caldaia con caldaia non si tingono”.
Come è noto, per caldaia si intendete quel grosso “pentolone” di rame che un tempo si usava per fare il bucato o per bollire le bottiglie delle conserve, la quale si appendeva alla catena del focolare (“camastra”).
L’uso continuo dell’antico utensile ed “arredo” domestico (non avere la caldaia un tempo era come non avere la lavatrice o il televisore oggi) negli anni provocava accumuli di strati e strati di incrostazioni di fumo diventando ovviamente nerissima, tingendo ogni cosa al solo sfiorarla. Quando si usavano più caldaie insieme, stando vicine, non c’era il rischio di rovinarsi l’una con l’altra, infatti, nero su nero non provoca effetti visibili.
Per intendere il proverbio bisogna considerarlo dal suo punto di vista allegorico, ciò significa ad esempio che due persone che sono uguali (per usi, costumi o intenzioni) non c’è bisogno che si alleino per cercare di risolvere eventuali problemi comunitari, perché a patirne è sempre chi si trova in mezzo.

CANI PAZZI

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Cani PazziGentili lettori, considerando il fatto che anche qui, nel fantastico mondo dei miti, le condizioni atmosferiche costringono folletti e ninfe a trascorrere molto tempo al chiuso (in attesa della prossima primavera), abbiamo pensato di coinvolgervi in un esercizio linguistico, da ripetere velocemente.Ѐ da eseguire in gruppo, ma attenzione! Ciò che vi proponiamo potrebbe produrre effetti indesiderati.
Buon divertimento!

 

Nda li quatto palazzi
ci su’ quatto cape ri cani pazzi:
na capa ri cane pazzo a dritta,
na capa ri cane pazzo a mancina,
na capa ri cane pazzo  mmienzo,
na capa ri cane pazzo nnanzi,
na capa ri cane pazzo nnireto…

(E cosi via fino a sbagliare)

U SCACCARICCHIO

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scaccaricchioCari lettori, la storia di questo mese ci porta in un tempo popolato da magiche presenze a custodia di incredibili tesori nascosti.
Si narra di un certo folletto di nome Scaccaricchio, meglio conosciuto in Terra di Basilicata come «Munachiello» o «Munaciello».
La tradizione orale ci informa che a quei tempi si giurava di vederlo correre per le strade o in qualche aia dopo la trebbiatura. Esteticamente pareva un bambino o poco più grande di un palmo o due di mano, dal volto carino, ma minuto e dispettoso. Stava nascosto nella polvere o nella paglia, girava in tondo come una trottola ed era così veloce che sembrava un fulmine. Alle donne alzava la sottana e faceva intossicare le persone nelle case tappandogli la cima delle canne fumarie. All’improvviso sbatteva porte e finestre e fischiava nelle orecchie come il vento. Faceva il solletico ai piedi e a mezzanotte tirava le coperte dal letto.
Abitava in piccole grotte che lui stesso si scavava con il proprio soffio o piano piano con un martellino. Incredibile a dirsi! ma pare che a San Vito o sul Castello custodiva sacchi ammassati pieni di monete d’oro e pietre preziose. Portava sempre un cappuccio rosso, c’era anche chi sosteneva il contrario, e cioè che il cappuccio fosse a righe, ma alcuni dicevano che non lo aveva affatto, però beato chi riusciva a strapparglielo dalla testa perché diventava ricco al momento. Senza di esso pare che perdesse le forze, non riusciva più a correre e nemmeno a fare dispetti, ma per riavere il suo cappuccio ti faceva padrone di grandi tesori.

LI STRAZZATE

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strazzatQuesta è una delle storie che raccontano la fortuna del cibo degli antichi, prodotto in un epoca in cui bastava un po’ di farina ottenuta dai propri campi per sfamare le tipiche famiglie numerose di un tempo. L’alimento di cui si parla, oggigiorno in tutto il mondo è battezzato col nome di «pizza», ma, secondo i nostri costumi, pare che «pizza» significhi un’altra cosa qui in paese.
Si narra, dunque, della strazzata fatta nel forno e impastata con le proprie mani. Lasciamo perdere quella più comune condita con olio, sale e peperoncino, oppure quella fatta con il pomodoro, un po’ d’aglio e origano profumato. Tralasciamo anche le focacce farcite di uova, toma e salsiccia, eppoi quei calzoni, belli piccanti, con le bietole, finocchio e uva sultanina. Vogliamo invece ricordare solo la strazzata fatta con lo strutto, stesa e rimpastata più volte, a sfoglia a sfoglia, che nessuno fa più nemmeno se lo spari.

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